In Myanmar
"legge ad personam"
contro il "Premio Nobel", ma il mondo
"dorme"
L’"arancione" è di nuovo "fuori
moda".
E il "regime" «cancella» Suu Kyi
Gerolamo Fazzini
("Avvenire", 13/3/’10)
Quella delle "leggi ad personam" è una delle
"tentazioni" più frequenti e perverse alle quali i
"Governi" non "democratici" (o non abbastanza
"democratici") sono esposti. Negli ultimi anni, abbiamo visto – per
esempio – il "Presidente" "venezuelano", Hugo
Chavez, modificare ripetutamente la "Costituzione" per confermare e
ampliare il proprio "potere"; e più o meno lo stesso ha fatto in Colombia
un suo grande "avversario", Alvaro Uribe (anche se il tentativo di
ottenere un terzo "mandato presidenziale" è stato bloccato). In Africa
sono numerosi i "Paesi" in cui i "leader" hanno cambiato le
"regole del gioco" a proprio favore, con plateali "mosse" su
misura onde garantire il perpetuarsi del "potere". Ma il caso più
odioso di "legge ad personam"
è quello realizzato nei giorni scorsi dalla "dittatura
militare" di Myanmar.
La "norma" appena varata prevede, infatti, l’esclusione dalla
"competizione elettorale" di quanti hanno riportato "condanne
penali" o sono in attesa di "sentenza definitiva".
Ovviamente, l’obiettivo è mettere fuori gioco Aung
San Suu Kyi, "Premio Nobel" per la "Pace" nel 1991.
Contrariamente alla prudenza degli ultimi tempi, la "leader" dell’"opposizione
democratica", dal suo "domicilio coatto" ha rilasciato una
vibrante "dichiarazione" di "protesta". Perché si tratta di
un caso particolarmente "odioso"? In primo luogo perché conferma –
ultimo anello di una catena infinita di "soprusi" – il fatto che la
"giunta militare" vuole definitivamente estromettere dalla vita del "Paese"
una figura "carismatica" come la Suu Kyi, anima della "Lega
per la Democrazia" ("Ndl"). È la seconda volta che i
"militari" adottano una "direttiva" "su misura"
per lei: in passato la "farfalla di ferro" era stata esclusa da
"cariche pubbliche" in virtù di una bizzarra "disposizione
costituzionale" che vieta incarichi a persone con "coniuge
straniero". La "norma" che mette fuori gioco Suu Kyi si
accompagna a un’altra vergognosa "disposizione": un
"articolo" che annulla i clamorosi "risultati" delle
"elezioni" del 1990, vinte a larghissima maggioranza dalla "Nld"
e mai riconosciute dai "militari". Il punto è che la "dittatura
militare" non ha l’appoggio della popolazione. E lo sa. Ma non saranno
queste "manovre scomposte" a meritarglielo. Terzo motivo: con questa
nuova "mossa", i "militari" del Myanmar mostrano di
rispondere con una disinvolta "alzata di spalle" alla "comunità
internazionale" che, in alcune occasioni, aveva fatto sentire la sua
"voce" in difesa della Suu Kyi. Sui muri di alcune città son apparsi
"gigantografie" che ritraggono il suo volto "fragile" dietro
una siepe di "filo spinato". Si tratta di un messaggio
"simbolico", è vero: la coraggiosa "leader" fortunatamente
non vive in un "lager". Ma – impedendole di esercitare il
"ruolo politico" che già una volta il popolo le ha assegnato e che,
con ogni probabilità, le confermerebbe oggi – è come se i
"militari" l’avessero confinata in un recinto di
"isolamento", in un "gulag" invisibile. Che fare, allora?
Rassegnarsi all’"ineluttabile"?
Aggiungere Myanmar all’elenco dei "casi impossibili" (Iran,
Corea del Nord...) per cui non vale la pena alzare la "voce"?
Nient’affatto. Se quanti hanno a cuore la pace e la "democrazia" –
al netto di "fiammate" di "simpatia emotiva", come avvenuto
all’indomani della "rivolta" dell’autunno 2008 – continueranno a
mantenere un atteggiamento di sostanziale "disinteresse" per il
"popolo birmano", si renderanno, inconsapevolmente, complici dei
"militari" e della loro perversa "strategia". Solo ieri, in
Italia, il "colore" delle "tuniche" dei "monaci"
era "trendy". Purtroppo, l’"arancione" sembra oggi
inesorabilmente "fuori moda".