In Birmania lo "spettro" della guerra civile
Tuniche arancioni in marcia,Gerolamo
Fazzini
("Avvenire", 23/9/’07)
C'è un’immagine
in “Rete” che non passa inosservata. Viene dal Myanmar
e ritrae un gruppo di monaci buddhisti che sfilano silenziosi, sotto la pioggia,
per le vie di Yangon, l’ex capitale del Paese. Camminano con l’acqua alle
caviglie, le tuniche arancioni inzuppate, le teste rasate lucide, lo sguardo
fiero. Lo sguardo di chi vuol dare un messaggio forte. Destinatario è il regime
militare – una dittatura di quelle che l’Occidente dimentica facilmente –
contro cui i religiosi hanno annunciato di voler continuare la lotta, con
l’appoggio della gente, sino al suo crollo. Negli ultimi giorni le marce
“nonviolente” dei monaci si sono susseguite in varie città e con gesti
clamorosi. Alcuni di loro hanno sfilato con in mano la tradizionale scodella per
le elemosine, capovolta per protesta. Il rifiuto di accettare elemosine dai
militari e dal loro “clan” rappresenta una “scomunica” simbolica, un
segno forte in un Paese, come l’ex Birmania, a larga maggioranza buddista.
Ieri, in varie località, sono stati la bellezza di diecimila i monaci
mobilitatisi. Un’importante manifestazione si è tenuta a Mandalay, la seconda
città del Paese, che rappresenta – con le sue pagode lucenti e i numerosi
monasteri – la capitale spirituale per i buddhisti. Nelle stesse ore, a Yangon,
il corteo dei monaci passava davanti all’abitazione di
Aung San Suu Kyi: la
“pasionaria” dei diritti umani e “Nobel” per la pace, da anni agli
arresti domiciliari, è sostata in lacrime davanti alla porta di casa, salutando
il corteo. Il fatto che non siano intervenuti polizia o esercito la dice lunga
sulla preoccupazione del regime militare che la protesta sfoci in tumulti
incontrollabili. Testimoni oculari e agenzie riferiscono che quella di ieri è
la più grande manifestazione degli ultimi giorni, ma, soprattutto, che un
evento di tale portata non si teneva in Myanmar da vent’anni a questa parte.
L’ondata di “malcontento” popolare ha preso il via all’indomani
dell’aumento improvviso e drastico del prezzo del carburante, varato dalla
giunta militare il 15 agosto scorso. Difficile prevedere dove porterà la
spirale di insofferenza che di giorno in giorno cresce, registrando un
progressivo appoggio popolare. Il rischio concreto di una guerra civile non è
uno “spettro” così vago, se pochi giorni fa l’inviato speciale dell’Onu
ha fatto rapporto al “Consiglio di Sicurezza”, con toni preoccupati, sulla
crisi nell’ex Birmania.
Una crisi che si trascina dal 1990, quando