PRIMO PASSO NEL MYANMAR

"Retorica" dei militari in tv: «Abbiamo raggiunto il successo sul piano economico,
su quello sociale e in altri settori. E nel ristabilimento della pace e della stabilità».

RITAGLI    La giunta birmana: subito il "referendum".    BIRMANIA
Elezioni nel 2010

Opposizione sorpresa: prematuro esultare…

Luca Miele
("Avvenire", 10/2/’08)

Due scadenze che potrebbero significare una "svolta" nel futuro politico del Myanmar: "referendum costituzionale" già a maggio e elezioni «"multipartitiche" e democratiche», fissate per il 2010. La giunta militare, al potere nel Paese da oltre 40 anni, gioca le sue carte. E annuncia la "conversione" democratica e la sua (per ora solo presunta) "metamorfosi" in una «amministrazione democratica e civile». Un’accelerazione improvvisa, frutto delle pressioni internazionali che hanno fatto seguito alla violenta repressione dello scorso settembre? In realtà un passo di un programma – una "road map" in sette punti – lungo ben 14 anni. Tanti sono stati gli anni necessari a stilare la "bozza" della "Carta costituzionale" – che per ora rimane un’incognita – : i lavori, tenuti in segreto in una base militare a nord di Yangon, con mille delegati in gran parte selezionati dal regime, si sono conclusi il 3 settembre dell’anno scorso. «Abbiamo raggiunto il successo sul piano economico, su quello sociale ed in altri settori – è il proclama della giunta "passato" sulla tv di Stato – , e nel ristabilimento della pace e della stabilità. Le "infrastrutture" di base del Paese sono state edificate ma sono necessari altri progressi per il benessere della nazione». La prima reazione all’annuncio da parte dell’opposizione è stata di «sorpresa». Sospendiamo ogni giudizio, ma gridare a un successo è «prematuro», ha detto Nyan Win, portavoce della "Lega nazionale per la democrazia" ("Lnd"), il partito della "leader" dell’opposizione birmana, il premio "Nobel" Aung San Suu Kyi, della quale è stata chiesta ancora una volta la liberazione. Nessuno nel Myanmar ha dimenticato le precedenti elezioni che si svolsero nel 1990, e che si conclusero con un successo dell’opposizione e una "disfatta" per i militari. Che allora scelsero di ignorare i risultati della consultazione e imporre il "pugno di ferro" nel Paese. Gli osservatori internazionali per ora frenano gli entusiasmi. La "bozza" della "Costituzione" che verrà presentata è al momento un "buco nero". Nulla è trapelato sui suoi contenuti. Né si sa come verrà articolato il testo referendario e su cosa esattamente verranno chiamati a pronunciarsi i birmani. Alle elezioni – come ha anticipato "Asianews" – non potrà comunque partecipare la figura di spicco del movimento democratico. Una "clausola" vieta che per la poltrona presidenziale possano correre candidati sposati con stranieri: una "clausola" fatta apposta per sbarrare la strada a Aung San Suu Kyi, che è stata moglie dell’inglese Michael Aris, morto nel 1999. Qualche timido segnale di apertura del regime alla "leader" dell’opposizione si era materializzato nei giorni scorsi: una serie di incontri con l’esponente della giunta militare deputato a tenere i rapporti con l’opposizione. Incontri che però hanno lasciato l’amaro in bocca, risolvendosi in una sorta di rituale "vuoto", di "vetrina" da esibire da parte del regime dinanzi alla comunità internazionale. Resta da vedere come si muoverà ora la giunta, e quali saranno i "consigli" al Myanmar dei suoi "partner" politici (e economici), Cina e India. Una giunta a due "velocità": lentissima se non immobile quando si tratta di riforme. Lesta quando c’è da concludere affari.
L’ultimo proprio con l’India: un accordo – già scritto e a cui manca solo la firma – per un progetto da 100 milioni di dollari che garantirà agli Stati nordorientali dell’India l’accesso al mare. Comporterà un potenziamento del porto di Sitwe, da cui le merci potranno passare direttamente in Mizoram sempre lungo lo stesso corso d’acqua. Pechino permettendo.