La "giunta" del Myanmar blocca i soccorsi
La Cina induca i "generali" a smistare gli aiuti
Elio
Maraone
("Avvenire",
16/5/’08)
Forse non dovremmo
più stupirci, dopo le innumerevoli repliche del male di cui gli uomini sono
attori ogni giorno, in tutto il mondo. Eppure, riesce ancora a sorprendere –
reclamando la nostra implacabile indignazione, la nostra instancabile denuncia
dell’ingiustizia – l’ostinazione con la quale la "giunta
militare", che da 46 anni tiene in pugno il Myanmar
(l’antica Birmania),
rifiuta il libero afflusso di aiuti e la libera circolazione di
"organizzazioni umanitarie internazionali" nel proprio Paese.
Specialmente, e questo è particolarmente odioso, nelle zone devastate dal
ciclone "Nargis"
il 3 maggio scorso, e delle quali poco parla, preferendo esultare per l’esito
incredibilmente positivo (92 per cento di voti favorevoli!) del
"referendum-farsa" sulla nuova "Costituzione".
Intanto gli esperti occidentali giunti sul posto, assieme a quelli bloccati a Bangkok
in attesa di un "visto" che non arriva mai, temono l’esplosione di
una nuova catastrofe all’interno del disastro che avrebbe già provocato circa
128mila vittime (secondo stime della "Croce Rossa internazionale"), un
numero incalcolabile di "senza tetto" bisognosi di tutto e danni
enormi alle colture agricole. Si prevedono "carestie" ed epidemie, si teme adesso
l’arrivo di un nuovo, devastante ciclone, e la "giunta militare" insiste, con
una crudeltà tramata di "paranoia" masochistica e di ottuso orgoglio
nazionalistico, a respingere le pressioni perché allarghi le maglie dell’isolamento
e non ponga limiti alla distribuzione di quegli aiuti dei quali, secondo i suoi
oppositori, starebbe addirittura facendo incetta. Se insistesse, se si
irrigidisse nella indifendibile difesa ad oltranza della propria assoluta
sovranità, il "regime" si macchierebbe di uno spaventoso,
intollerabile crimine contro l’umanità, di quelli cioè che la coscienza
universale condanna e il "Consiglio di sicurezza" delle "Nazioni
Unite" sanziona, arrivando, come è arrivato talvolta, a forme anche
efficaci di «ingerenza umanitaria». Ed è in questa prospettiva che il
Segretario Generale dell’"Onu",
Ban
Ki-Moon , ha deciso
di inviare il suo "vice" John Holmes a Rangoon per convincere le
autorità locali a rimuovere ogni ostacolo all’inoltro di aiuti umanitari.
Si tratta di un passo nella direzione giusta, ma di un passo ancora piccolo e
destinato a rimanere tale, ossia poco incisivo, a meno che non intervenga la Cina.
La Cina, che sul Myanmar esercita una forte influenza politica ed economica, è
infatti l’unico Paese al quale il "regime militare" potrebbe dare
ascolto. Pertanto, è augurabile che Pechino prema decisamente sui
"generali" e, al tempo stesso, la smetta di bloccare ogni iniziativa
contro di essi all’interno del "Consiglio di sicurezza". La Cina ha
patito, con il recente "terremoto", orrore e sofferenze analoghi a
quelli che hanno colpito il Myanmar; ha affrontato la tragedia con senso di
responsabilità, spirito costruttivo e inedite aperture sia all’esterno – da
dove giungono, bene accolti, gli aiuti, – sia all’interno – come testimonia
tra l’altro la larga ed inedita diffusione di immagini di un popolo che non
nasconde più i propri sentimenti, il proprio inconsolabile dolore per la morte
dei propri cari.
Anche per questo, ossia per l’umanissima sintonia di due popoli davanti a
"sciagure" analoghe, crediamo che, come accennato, sia un’opportunità,
meglio, un dovere della Cina fare un passo importante e, soprattutto, sollecito:
ovvero, prima che non rimangano più "superstiti" da salvare.