I soccorsi
stanno raggiungendo centri ancora isolati,
come Bogalay e Labutta,
ma le regioni più a sud sono del tutto irraggiungibili,
e con loro molte migliaia di "senza tetto".
La
denuncia di un insegnante di Pathein:
«"Check-point" circondano la zona del "delta":
chi non è residente non può entrare, né i "superstiti" possono
uscire».
Da
Yangon, Stefano Vecchia
("Avvenire", 14/5/’08)
Potrebbero arrivare a 200mila i morti per la "furia" del ciclone "Nargis", dieci volte di più di quelli stimati dal "governo militare" e il doppio di quelli valutati dall’"Onu". Lo rivela ad "AsiaNews" un insegnante di Pathein, intervistato sotto condizione di "anonimato".
Com’è la situazione oggi nella zona colpita da "Nargis"?
Secondo fonti attendibili, contattate a Yangon, i morti sono già 200mila. La mancanza di cibo, acqua potabile, le epidemie di colera, dissenteria, stanno uccidendo come "mosche" la nostra gente. Molti Paesi vogliono aiutarci, ma la "giunta" non accetta aiuti. "Check point" circondano la zona del "delta" e chi non è residente lì non può accedere alle aree colpite, né i "superstiti" possono uscire. Siamo prigionieri, condannati a morte.
Qual è il problema più urgente?
La "comunità internazionale" deve fare in modo che arrivino gli aiuti e gli "operatori umanitari" delle varie agenzie "Onu" e delle "Ong" straniere, fermi in Thailandia. Da soli non ce la faremo, i più deboli e poveri moriranno. Molti bambini sono già in condizioni drammatiche. Da tre pasti al giorno siamo arrivati a consumarne solo uno ed è un piatto di riso bianco. Per le strade sempre più gente chiede l’elemosina e la fame è talmente tanta che non ci si chiede neppure cosa si sta mangiando.
Cosa possono fare le "superpotenze"?
Penso che Cina e India, le nazioni più influenti sul governo birmano, debbano "premere" perché si apra all’intervento dall’estero. Ma su questo non sono molto fiducioso. Soprattutto per quanto riguarda le intenzioni reali di Pechino: la Cina vuole "colonizzare" il Myanmar, un po’ come ha fatto con il Tibet. È interessata al territorio e alle sue risorse. Basti pensare che da una parte la "giunta birmana" porta avanti una "pulizia etnica" di alcuni gruppi locali, dall’altra permette il libero ingresso a migliaia di cinesi.
Quali sono gli aiuti "concreti" che arrivano dal governo?
Non ci sono aiuti e la gente non ne è sorpresa. I "generali" non si sono mai interessati al bene del popolo, perché dovrebbero farlo ora? L’unica cosa che fanno è aumentare i controlli e non permettendo distribuzione diretta dei soccorsi alla popolazione, si prendono il merito loro dei pochi aiuti che arrivano. Se un gruppo di cittadini ha del riso che vuole distribuire, i "militari" lo sequestrano e poi ne prendono loro una parte consistente e l’altra la danno alle vittime del ciclone, facendosi riprendere da "telecamere".
Come spiega l’ottusità del "regime" nel "chiudere" ai soccorsi dall’estero?
Bisogna considerare lo storico odio dei "generali" verso l’Occidente: gli stranieri sono visti come "nemici", portatori di idee "devianti". Nelle zone colpite da "Nargis" sono presenti gruppi di "separatisti", che non hanno ancora firmato il "cessate-il-fuoco" con il "regime". Molti sono cristiani, una minoranza già "vessata" dal governo. In più, la metà della popolazione qui sostiene Aung San Suu Kyi, e la maggiore preoccupazione della "giunta" è non perdere un "centimetro" del proprio potere.