LA "SVOLTA" IN MYANMAR

La "Premio Nobel" racconta le sue prime "Mosse Politiche",
dopo la fine degli "Arresti Domiciliari".
«Il "problema" non è l’assenza dei nostri "Rappresentanti"
al "Parlamento", ma che il "Voto" e la "Costituzione"
si sono dimostrati un colossale "imbroglio"».
"Espulso" il "Reporter" che l’ha incontrata.

RITAGLI     Suu Kyi: «Voglio tornare     BIRMANIA
a parlare alla mia "gente"»

«Ora il "Regime" liberi gli altri 2.000, ancora nelle "Prigioni"».

AUNG SAN SUU KYI: "Premio Nobel per la Pace", finalmente liberata, dopo gli arresti domiciliari, in Birmania!

Da Yangon, Piergiorgio Pescali
("Avvenire", 18/11/’10)

La Liberazione di Aung San Suu Kyi ha mostrato che anche un Governo come quello del Myanmar, ogni tanto, mantiene le promesse. Poco dopo il suo rilascio, abbiamo avuto l’opportunità di avvicinarla e farle qualche domanda preliminare in previsione di effettuare un’Intervista più approfondita in seguito. Subito dopo l’incontro, però, l’Espulsione notificataci dal Governo, perché il Visto Turistico impedisce di effettuare attività Giornalistica (per altro vietata ai tanti "Reporter" stranieri), ha reso impossibile concludere l’Intervista. Questa è però la breve conversazione avuta con Aung San Suu Kyi...

Finalmente "libera". Ci credeva, o pensava che la "Giunta" ritirasse all’ultimo momento anche questa "promessa"?

«Non mi sono mai posta il problema. La Giunta ed io abbiamo idee contrapposte sulla Democrazia, ed ho sempre sostenuto che la mia Libertà non dovesse essere un pegno utilizzato dalla Giunta per raggiungere compromessi».

"Libertà" significa anche "azione", "responsabilità" e quindi essere oggetto di "critiche". Che cosa farà come prima cosa?

«Vorrei girare il Paese, incontrare gente, sentire i loro problemi direttamente da loro. Fare, insomma, quello che ho sempre fatto quando la Giunta me lo permetteva».

In "Carcere" ci sono ancora più di 2.000 "Prigionieri Politici". La sua "Liberazione" non rischia di far dimenticare al mondo queste persone, dai "nomi" meno noti del suo?

«Ha ragione, la mia Libertà non deve far dimenticare che questi difensori della Democrazia che, per le loro idee, sono ancora incarcerate, e io mi batterò affinché anche loro possano vedere aprirsi le porte delle celle».

La "Lega Nazionale per la Democrazia" non si è presentata alle "Elezioni", e quindi non avrà nessun "Rappresentante" al "Parlamento". Come pensa di continuare la sua "Lotta Politica" dall’esterno?

«Il problema non è l’assenza dei nostri Rappresentanti al Parlamento. Del resto la nostra posizione è stata chiara fin dal principio: chi l’avesse voluto, poteva candidarsi liberamente alle Elezioni. Il problema però è che le Consultazioni del 7 Novembre, così come la stessa Costituzione, si sono dimostrate un colossale "imbroglio". Parteciparvi significava accettare la Costituzione e ingannare il Popolo. Noi abbiamo scelto di stare dalla parte della Democrazia e della verità».

Aung San Suu Kyi si mostra così sempre più determinata a continuare la sua attività Politica che le è valsa, oltre a 15 anni di Arresti Domiciliari, la visibilità mondiale e un "Premio Nobel per la Pace" nel 1991. La sua Liberazione, assieme alle Elezioni che, seppur manipolate, rappresentano pur sempre una svolta nella linea dei Militari, dimostra che la Giunta potrebbe essere veramente intenzionata a varare la tanto auspicata "Road to Democracy". Fatto importante, da pochi sottolineato, è che al rilascio alla Suu Kyi non è stata posta alcuna restrizione.
Anche in fatto di sanzioni, Suu Kyi ha mostrato un certo ammorbidimento: capendo che chi soffre maggiormente del "boicottaggio" è il Popolo, si è detta disponibile ad «una revisione della sua posizione».
Cercando, come ha detto anche l’altro ieri, una via d’uscita per il futuro Myanmar Democratico, auspicando «che, sulla questione delle violazioni dei diritti umani da parte dei Militari, possa essere affrontata con un processo di "verità e riconciliazione", sul modello di quello avvenuto nel
Sudafrica del dopo "Apartheid", invitando i responsabili a farsi avanti. «Che è una cosa diversa da distribuire gravi punizioni in modo vendicativo per quello che è stato fatto!».