La "Giunta Birmana" promette la "liberazione"
Suu Kyi,
la
"fragilità" che spaventa i
"Generali"
Riccardo Redaelli
("Avvenire", 1/10/’10)
C’è qualcosa di simbolico, e perfino di epico, in questa lotta ventennale
fra una minuta, apparentemente fragile donna, armata solo della propria
determinazione, e i Generali della
violenta Giunta Militare
che opprime da troppo tempo Myanmar
(l’ex Birmania). Da tempo
Aung
San Suu Kyi simboleggia agli occhi del mondo la speranza di libertà per
questo Paese e sta diventando una delle grandi icone della lotta non violenta
contemporanea, sulle orme di Nelson
Mandela, Martin Luther
King, il
Mahatma Gandhi.
Una battaglia, la sua, finora non coronata dal successo. Non ancora, piacerebbe
poter scrivere.
Buona parte degli ultimi vent’anni della sua vita sono stati contrassegnati
dalla detenzione, per lo più agli arresti domiciliari, forzatamente chiusa in
un isolamento totale. Ora, una fonte anonima della Giunta al Governo, ne
annuncia il rilascio (già previsto) per il 13 Novembre, pochi giorni dopo le
Elezioni Politiche. Le prime che si tengono nel Paese dal 1990, allorché i
Militari rovesciarono il verdetto popolare che aveva portato al trionfo il suo
Partito, la "Lega Nazionale per la Democrazia".
Qualcosa si muove, quindi, in un Paese che pur resiste ad anni di pressioni
internazionali ed embarghi economici. Che sia qualcosa di duraturo verso un
allentamento della pressione, è ancora presto per dirlo. Lo scorso anno l’Amministrazione
Obama aveva cercato, con una
mossa simile a quella compiuta verso l’Iran,
una soluzione tramite Negoziati diretti. I risultati sono stati invero
deludenti: le Leggi emanate per le Elezioni ne hanno limitato il valore
politico, dato che la maggior parte degli oppositori non potrà parteciparvi e
il Regime si è riservato in ogni caso dei Seggi sicuri. Tuttavia, per quanto
piccolo, è un passo. Come lo è la liberazione di questa "bandiera"
della lotta per la Democrazia. La vera scommessa è per quanto Suu Kyi rimarrà
libera. Nelle ultime due decadi, a ogni rilascio è sempre seguito un nuovo
arresto, con i pretesti più disparati. Nonostante le fosse stato assegnato il Nobel
per la Pace e nonostante le tante
Campagne
Internazionali.
Si vedrà nei prossimi mesi la capacità dei Militari di sopportare idee e linee
politiche diverse espresse nel nuovo Parlamento, anche se – come già
ricordato – le voci d’opposizione saranno probabilmente caute e flebili. E
si vedrà la volontà della Comunità Internazionale di accompagnare questo
allentamento della Dittatura. Cruciale sarà il ruolo di Pechino,
il cui peso economico e politico cresce nel Paese. L’auspicio è che la Cina
favorisca una lenta e cauta evoluzione del sistema anche se, come noto, i
diritti umani non sono una merce che il Gigante Asiatico ama produrre in Patria
od esportare.
Forse più ancora delle pressioni politiche giocheranno le necessità
economiche. L’ex Birmania ha tutto per poter essere un Paese ricco: foreste di
"tek" prezioso, terre fertili, "gas", spiagge e luoghi di
interesse storico e religioso per attirare i turisti.
Eppure il popolo vive nella povertà, aggravatasi negli ultimi anni per le
sanzioni e la crisi economica internazionale. In sovrappiù la corruzione e le
inefficienze della Giunta Militare, coinvolta anche nel grande traffico di droga
che esce dal Paese. Sono state proprio le insopportabili condizioni di vita a
scatenare negli scorsi anni proteste finite in repressione duramente. Ed è la
fragilità economica che rischia di indebolire il Regime.
Si spiega così il nervosismo dei Militari dinanzi al ritorno alla libertà di
questa donna, figlia dell’eroe della Indipendenza Birmana, il Generale Aung
San, ucciso quando lei aveva solo due anni. Vista l’importanza della
discendenza di sangue che accomuna l’Asia
Meridionale, non stupisce che Suu Kyi sia diventata il simbolo della
resistenza: è successo anche in India
con Indira Gandhi, figlia di Nehru, in Pakistan
con Benazir Bhutto, in
Bangladesh
con Sheikh Hasina. Tutte figlie salite al potere tramite Elezioni vinte. La
speranza è che in futuro possa accadere anche a Myanmar.