Conferenza Episcopale Italiana
Lettera
I - LE DOMANDE CHE CI UNISCONO | II
- |
III - COME INCONTRARE IL DIO DI GESÙ CRISTO |
1. FELICITÀ E SOFFERENZA | 6. GESÙ | 11.
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2. AMORE E FALLIMENTI | 7. IL CRISTO | 12. L’ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO |
3. LAVORO E FESTA | 8. DIO PADRE, FIGLIO E SPIRITO | 13. I SACRAMENTI, LUOGO DELL’INCONTRO CON CRISTO |
4. GIUSTIZIA E PACE | 9.
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14. IL SERVIZIO |
5.
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10.
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15.
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10.
Nella
tradizione biblica lo “spirito” è la forza vivificante di Dio, che ispira i
profeti e anima la vita dei fedeli che aderiscono all’alleanza. Se ne attende
un’effusione abbondante per gli ultimi tempi. I primi credenti in Gesù Cristo
sono convinti che la sua risurrezione inaugura i tempi ultimi con l’effusione
dello Spirito. San Paolo parla dello “Spirito di Dio”, considerandolo al
contempo dono di Gesù risorto ai credenti.
Lo
Spirito di Cristo
Il
dono dello Spirito da parte di Dio fa comprendere e accogliere ai credenti il
suo progetto salvifico, che si manifesta in Gesù, il Cristo crocifisso. Lo
Spirito plasma l’identità e l’agire dei discepoli, che proprio in quanto
segnati dalla sua opera sono chiamati a vivere in modo “spirituale”, nella
sequela di Cristo.
Lo
Spirito suscita e alimenta quelle disposizioni profonde che sono conformi al
progetto di Dio, in antitesi con quelle della “carne”, ossia con
un’esistenza chiusa in se stessa ed estranea al progetto di Dio. È lo Spirito
a far penetrare nel cuore dei credenti l’amore di Dio, che diventa fonte
dell’amore fraterno. Lo Spirito di Dio suscita in chi crede l’atteggiamento
di confidenza filiale di Gesù, che si esprime nell’invocazione Abbà,
“Padre”. Anche nelle situazioni di sofferenza lo Spirito ispira e alimenta
la preghiera dei credenti in sintonia con il disegno salvifico di Dio.
Lo
Spirito di Cristo Signore è garanzia della libertà dei discepoli nei confronti
della vecchia esistenza ed è fonte di un nuovo dinamismo di vita caratterizzato
dall’amore. Effuso nel battesimo, costituisce i credenti in una comunità di
persone di pari dignità, facendo superare ogni discriminazione etnica o
sociale. La comunità animata dallo Spirito per mezzo di doni (o “carismi”)
cresce in modo armonico e unitario con la partecipazione di tutti.
È
lo Spirito comunicato dal Risorto la fonte interiore e permanente della libertà
del cristiano. Essa è prima di tutto liberazione dalla schiavitù del peccato e
della morte per l’iniziativa gratuita di Dio attuata in Cristo: è “libertà
da” tale schiavitù e “libertà per” donarsi a Dio e agli altri, perché
lo Spirito comunica all’intimo dei cuori la capacità di amare secondo la
volontà del Padre, rivelata in Gesù.
La
“legge”, sintesi delle esigenze etiche e relazionali, cessa di essere una
norma esterna perché viene a coincidere con la “legge dello Spirito”,
donata da Dio. Si stabilisce così una sintonia tra le aspirazioni profonde
dell’essere umano, che cerca la propria realizzazione nelle relazioni giuste e
felici con le persone, e le esigenze etiche concentrate nell’amore.
I
doni dello Spirito
Lo
Spirito Santo, dato ai credenti nel battesimo e negli altri sacramenti, fa di
essi l’unico corpo di Cristo e comunica loro i vari doni o carismi. Si può
parlare di doni dello Spirito solo in un contesto di fede, in cui si riconosce
che Gesù è il Signore. Poiché tutti i credenti, in forza dello Spirito,
riconoscono Gesù Cristo come il Signore, le differenti manifestazioni dello
Spirito si impiantano su una base condivisa, e quindi su un’eguale dignità.
Si
deve poi riconoscere che all’origine dei vari e molteplici doni spirituali
c’è sempre un solo Dio e Signore che opera per mezzo dell’unico Spirito.
Perciò non hanno senso concorrenze o contrapposizioni nella manifestazione e
nell’esercizio dei vari carismi. Nella prima lettera ai Corinzi, san Paolo
paragona la comunità dei credenti al corpo, che “pur essendo uno, ha molte
membra e tutte le membra pur essendo molte, sono un corpo solo” (12,12). Egli
conclude il confronto tra la comunità cristiana e il corpo con la
dichiarazione: “Voi siete corpo di Cristo” (12,27). Tutti i cristiani
infatti sono stati immersi in un solo Spirito per formare un solo corpo.
Il
criterio ultimo per valutare i carismi suscitati dallo Spirito nella comunità
è l’amore. Ce lo fa capire san Paolo nell’elogio dell’amore contenuto nel
capitolo 13 della prima lettera ai Corinzi, quando dice che anche le esperienze
mistiche più prestigiose e perfino gli atti di eroismo più grandi sono privi
di valore senza l’amore (che in greco è detto “agàpe” ed è per lo più
tradotto col termine “carità”):
“Se
parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei
come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E
se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta
la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non
avessi la carità, non sarei nulla.
E
se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne
vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
La
carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta,
non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio
interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode
dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta.
La
carità non avrà mai fine...
Ora
dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più
grande di tutte è la carità!”
(13,1-7. 13).
Il
dono dello Spirito Santo, che Gesù risorto fa ai credenti, diventa in essi la
fonte dell’amore di Dio e li rende capaci di attuare la loro fede in un
atteggiamento di donazione reciproca. Lo Spirito di Dio fa nascere da un lato la
fede in lui e dall’altro l’amore verso il prossimo. La maturità spirituale
dei cristiani si misurerà, allora, sulla qualità delle loro relazioni
d’amore, rese possibili dai frutti dello Spirito: “amore,
gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”
(Galati 5,22). La libertà cristiana trova nella carità la sua verifica: essa
mette in moto decisioni e comportamenti responsabili e si orienta alla
realizzazione di un progetto in cui l’essere umano si gioca personalmente in
una costante disponibilità al servizio.
La
promessa della vita piena
Lo
Spirito donatoci da Gesù ci rende dunque partecipi della vita divina nel tempo
e per l’eternità. Ci chiediamo: accogliendolo nel nostro cuore, che cosa ci
è dato sperare? Nel libro dell’Apocalisse, il profeta di Patmos descrive
l’ultimo atto del dramma della salvezza come “nuova creazione”. L’idea
della nuova creazione deriva dalla tradizione biblica, dove i profeti invitano a
dimenticare il passato e a guardare alle cose nuove che Dio sta per creare.
San
Paolo riprende questo linguaggio per esprimere la consapevolezza che i credenti,
uniti mediante il battesimo a Gesù Cristo, sono una “nuova creatura”.
L’esperienza della novità di vita nello Spirito, fondata sulla iniziativa
radicale di Dio, prefigura e anticipa la comunione piena e definitiva con lui
che chi crede attende nella speranza. Nella prospettiva di san Paolo, anche
l’attuale condizione del creato è associata al destino dell’essere umano,
che lo trascina con sé nella sua storia di peccato. Ma in forza della stessa
solidarietà, il creato attende la liberazione dalla sua schiavitù assieme agli
esseri umani chiamati a entrare nella gloria di Dio.
Nella
visione dell’Apocalisse, espressa col linguaggio evocativo dei simboli, il
disegno di Dio sulla storia umana è racchiuso in un rotolo, che solo Gesù
Cristo, il messia discendente di Davide, ucciso ma vivo, è in grado di
interpretare e di realizzare. Gesù Cristo è il rivelatore e il redentore
universale che inaugura la grande liturgia cosmica, in cui tutti gli esseri
creati riconosceranno l’assoluta signoria di Dio. Con la sua morte e
risurrezione, egli non solo vince le potenze del male e della morte, ma inaugura
il tempo e la condizione definitiva della salvezza per tutti quelli che lo
seguono anche a costo di perdere la vita fisica. Dopo la vittoria finale sulle
forze del male si presenterà la “nuova creazione”, che comprenderà il
cielo e la terra, mentre il “mare”, simbolo del caos, scomparirà per
sempre.
In
questa cornice si colloca la visione della “Gerusalemme celeste”, la
“fidanzata e sposa” dell’Agnello, che rappresenta il compimento del
disegno della salvezza. In essa si realizzerà la dimora definitiva di Dio con
gli uomini. La morte, fonte di ogni dolore, sarà eliminata per sempre. Dio
accoglierà gli esseri umani come figli chiamati a partecipare per sempre alla
sua vita d’amore. Questo destino è prefigurato nella donna Maria, la madre
del Messia.
Maria
madre della speranza
Nella
tradizione evangelica Maria, la vergine madre di Gesù, si presenta come la
donna credente che - coperta dall’ombra dello Spirito - si apre al dono della
salvezza definitiva, inaugurato dal suo Figlio. Ella accoglie la parola
dell’angelo inviato da Dio con l’adesione pronta e fedele dei grandi
testimoni della tradizione biblica. Nel canto del Magnificat, Maria
esalta la potenza salvifica di Dio, il santo e il misericordioso, che nel suo
figlio Gesù porta a compimento la promessa fatta ad Abramo e alla sua
discendenza. Come umile serva del Signore, Maria, la “figlia di Sion”, si
colloca nella storia del suo popolo, Israele, che, a partire dall’esodo e dal
cammino nel deserto, fa esperienza dell’agire potente di Dio. Il Magnificat,
sintesi della storia della salvezza, è un canto di speranza, di cui Maria si fa
voce.
Alla
nascita di Gesù a Betlemme, mentre i pastori riconoscono nel bambino avvolto in
fasce e deposto in una mangiatoia il Messia e il Salvatore, Maria conserva e
medita nel suo cuore quanto le è stato annunciato e va realizzandosi. La stessa
immagine di Maria compare a conclusione dell’episodio di Gesù dodicenne che,
in occasione di un pellegrinaggio a Gerusalemme per la festa di Pasqua, si ferma
nel tempio per discutere con i maestri della Legge. Maria e Giuseppe non
comprendono le parole di Gesù che rivendica il suo diritto e dovere di
dedicarsi alle cose del Padre suo. Il racconto si chiude con una scena
paradossale: Gesù ritorna a Nazaret, dove rientra nel suo ruolo di figlio
sottomesso, mentre Maria “conserva tutte
queste cose nel suo cuore” (Luca 2,51). La madre di Gesù vive
nell’attesa del pieno svelamento dell’identità di suo Figlio nella Pasqua
di Risurrezione.
Maria,
in quanto è la credente, che accoglie e conserva nel cuore la parola di Dio, è
il prototipo dei discepoli e della Chiesa intera. Quest’identità della Madre
di Gesù si trova anche nella tradizione trasmessa nel Vangelo di Giovanni, a
partire dal racconto delle nozze di Cana. Con il dono del vino buono e
abbondante, Gesù inaugura la nuova alleanza, fondata su nuove relazioni di
amore. Con discrezione, ma anche con determinazione,
In
questo orizzonte si colloca anche la visione del capitolo 12 dell’Apocalisse,
che presenta il destino finale dell’umanità mediante il grande segno nel
cielo, dove compare una donna vestita di sole che partorisce un figlio destinato
a regnare come Messia. Per essere sottratto alla minaccia di morte del grande
drago, il figlio della donna è portato nel mondo di Dio. Le doglie del parto e
il rapimento del figlio presso Dio alludono al mistero pasquale di Gesù, che si
prolunga nella storia dei suoi testimoni. Essi sono i figli della donna contro i
quali ora combatte il drago.
Nel
dramma dell’Apocalisse la figura della madre del Messia si sovrappone a quella
di Israele e della Chiesa, sullo sfondo della lotta primordiale tra il serpente
antico e la discendenza della donna. Maria è la primizia e l’immagine della
Chiesa che vive nell’attesa della salvezza finale. In lei Dio ha fatto
risplendere per il suo popolo, pellegrino sulla terra, “un segno di
consolazione e di sicura speranza”. Ecco come un figlio della Chiesa dei
nostri tempi si rivolge a Maria, la madre di Gesù, figura ideale per ogni donna
e per ogni uomo:
Santa
Maria, donna dei nostri giorni,
liberaci
dal pericolo di pensare
che
le esperienze spirituali vissute da te duemila anni fa
siano
improponibili oggi per noi…
Facci
comprendere che la modestia, l’umiltà, la purezza
sono
frutti di tutte le stagioni della storia,
e
che il volgere dei tempi non ha alterato
la
composizione chimica di certi valori
quali
la gratuità, l’obbedienza, la fiducia,
la
tenerezza e il perdono.
Sono
valori che tengono ancora
e
che non andranno mai in disuso.
Ritorna,
perciò, in mezzo a noi, e offri a tutti
l’edizione
aggiornata di quelle grandi virtù umane
che
ti hanno reso grande agli occhi di Dio.
(Preghiera a Maria del vescovo Tonino Bello).