Conferenza Episcopale Italiana
Lettera
I - LE DOMANDE CHE CI UNISCONO | II
- |
III - COME INCONTRARE IL DIO DI GESÙ CRISTO |
1. FELICITÀ E SOFFERENZA | 6. GESÙ | 11.
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2. AMORE E FALLIMENTI | 7. IL CRISTO | 12. L’ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO |
3. LAVORO E FESTA | 8. DIO PADRE, FIGLIO E SPIRITO | 13. I SACRAMENTI, LUOGO DELL’INCONTRO CON CRISTO |
4. GIUSTIZIA E PACE | 9.
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14. IL SERVIZIO |
5.
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10.
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15.
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(Audio)
II Nella prima parte di questa lettera abbiamo tentato di comprendere le attese e le speranze delle donne e degli uomini, nostri compagni di strada, riconoscendo come “filo rosso” la domanda sul senso della vita e della storia. Abbiamo cercato di interpretare quello che spesso ci capita di vivere spontaneamente o con eccessiva fretta. Abbiamo scoperto che tutti siamo in attesa di qualcuno che ci accolga e dia ragione alla nostra speranza. Chi
ha fatto l’esperienza della fede, riconosce che questo qualcuno capace
di comprendere, accogliere e sostenere c’è. Ha un nome e un volto: è
il Dio che in Gesù Cristo si fa vicino a ogni essere umano. Il rapporto
con Dio dà senso alla nostra vita nel mondo. Come avviene per ogni
esperienza veramente bella e positiva, sentiamo il bisogno di comunicarla
agli altri in nome della fratellanza umana, perché la possibilità di
incontrare Dio per mezzo di Gesù Cristo sia una speranza per tutti. Gesù
invita quanti lo hanno riconosciuto come Cristo e Signore ad ascoltare con
attenzione e rispetto le domande che salgono dal cuore degli uomini e
delle donne: “Quale padre tra voi,
se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce?
O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?” (Luca 11,11-12).
Se non abbiamo ascoltato o ben interpretato le attese di quanti sono alla
ricerca di Dio, forse ciò è avvenuto per la nostra eccessiva sicurezza o
per la fretta di comunicare quanto ci sta a cuore. A
tanti uomini e donne che sono alla ricerca di una speranza per il loro
cammino vorremmo raccontare ora l’esperienza che abbiamo fatto e
facciamo di Gesù, l’unico “nome” che a noi dà speranza e vita. Le
parole che proponiamo sono il frutto – oltre che del nostro incontro con
lui – della storia di tante persone che hanno incontrato Dio in Gesù
Cristo prima di noi. Sono persone note e ignote, che costituiscono la
lunga catena dei testimoni di Gesù. Per tutti i suoi testimoni Gesù è
una persona che ha vissuto, nella carne della sua umanità, le incertezze
e le inquietudini che scopriamo in noi, prendendosi cura con coraggio
della gente che ha incontrato. Non abbiamo la pretesa di comunicare tutto quello che si può dire della fede cristiana. Per intraprendere un possibile percorso di fede la comunità ecclesiale possiede testi autorevoli, ben elaborati e sperimentati. Sarebbe inutile ripetere qui quello che si può trovare in essi. Desideriamo invece suscitare interesse, o almeno curiosità, in ogni persona che è alla ricerca di Dio, perché possa ripensare la figura e il messaggio di Gesù e approfondirli nell’ascolto delle testimonianze che ne parlano. |
6. GESÙ
La
fede cristiana non è una delle tante visioni del mondo o interpretazioni della
storia, personale e collettiva. Per un cristiano la fede è incontro con Gesù
di Nazaret, condannato alla morte di croce dagli uomini, ma che Dio ha
risuscitato dai morti, ribaltando la sentenza di condanna.
L’incontro
con Gesù, che i primi discepoli riconoscono e proclamano Messia e Signore, fa
nascere e alimenta la fede in lui. La testimonianza di tutti gli altri credenti
in Gesù ci sostiene nella fatica di accettare il rischio di una decisione che
attraversa l’esistenza. Nella persona e nella vicenda di Gesù Cristo il Dio
lontano e invisibile si fa vicino a ogni essere umano, in un insperato e
gratuito gesto d’amore. Contemplando il volto di Gesù e ascoltando le sue
parole scopriamo chi siamo, intravediamo qual è la fonte ultima della nostra
esistenza e verso quale meta tende il nostro cammino quotidiano.
Con
forza, ma anche con trepidazione, ricordiamo il nostro convincimento: le
dottrine si spiegano, le persone si incontrano; le teorie si discutono, le
persone si riconoscono e si scelgono. Anche noi ci poniamo la domanda: possiamo
incontrare oggi Gesù di Nazaret, come è avvenuto duemila anni fa per le donne
e gli uomini nei villaggi della Galilea o a Gerusalemme? Possiamo pensare
seriamente che nella sua esistenza terrena Gesù abbia percorso i sentieri della
nostra vita quotidiana? È possibile stabilire un rapporto vitale con Gesù, che
è vissuto in una cultura e in una trama di relazioni tanto diverse dalle
nostre?
L’incontro
con Gesù
Nello
spazio e nel tempo, Gesù di Nazaret è lontano da noi. Eppure noi cristiani
siamo convinti di poterlo riconoscere nostro contemporaneo, nel nostro vissuto e
nelle nostre inquietudini, tanto da giustificare l’invito di affidarci a lui,
sapendo che merita questa fiducia. Lo possiamo incontrare attraverso i suoi
testimoni. La distanza tra Gesù e noi è colmata anzitutto dal racconto di
quanti lo hanno incontrato prima di noi. È un racconto che ci raggiunge
attraverso il tempo. Nel corso di venti secoli la memoria di quello che Gesù ha
fatto e detto ci è stata consegnata attraverso la catena ininterrotta dei
credenti, che risale fino ai testimoni oculari.
Il
racconto dei primi testimoni di Gesù sta all’origine dei quattro Vangeli e
degli altri testi del Nuovo Testamento. Si tratta della storia appassionata dei
primi passi di quanti hanno riconosciuto in Gesù il Signore della loro
esistenza. Attraverso la testimonianza di tanti che hanno pagato con il sangue
la decisione di seguire Cristo, possiamo conoscere la sua vita e il suo
messaggio. Possiamo interrogarli e ascoltarli, per verificare la loro esperienza
e orientare la nostra esistenza.
Chi
è Gesù? Su che cosa si fonda la sua pretesa di mettere in relazione ogni
essere umano con Dio e di garantire la vita piena e definitiva persino contro il
dolore, l’ingiustizia e la morte? I documenti più ampi e attendibili che
parlano di lui, della sua opera e del suo messaggio, sono gli scritti della
prima e seconda generazione cristiana.
Ai
quattro Vangeli e agli Atti degli Apostoli, che hanno carattere narrativo, si
aggiunge la testimonianza di san Paolo e di altri apostoli e dei loro discepoli,
che utilizzano il genere epistolare per tenere viva la comunicazione tra le
comunità cristiane. In questi documenti le parole si intrecciano con i fatti,
nella trama della vita delle persone e delle comunità.
La
novità di Gesù
La
raccolta di scritti che formano il Nuovo Testamento porta all’inizio i quattro
Vangeli, in cui si narra la vicenda di Gesù, che giunge al suo culmine negli
eventi della condanna a morte e nella risurrezione. L’attività e
l’insegnamento di Gesù sarebbero stati confinati nel ricordo di una piccola
cerchia di parenti e amici, se un evento non avesse spezzato la trama normale di
una biografia umana, fatta di vita, morte e sepoltura. E’ proprio secondo
questa trama che si racconta, ad esempio, la storia di Giovanni soprannominato
il Battista, messo a morte da Erode Antipa, uno dei figli di Erode il Grande
(37-
Ovviamente
non si spiegherebbe la condanna di Gesù da parte della suprema autorità
religiosa e politica - il sommo sacerdote Caifa e il governatore romano Ponzio
Pilato - senza la sua attività e il suo insegnamento dirompenti. Essi suscitano
prima il sospetto, poi le accuse a suo carico, fino alla pena capitale. È
pertanto legittimo chiedersi in che cosa consista la novità dell’azione di
Gesù, l’originalità del suo insegnamento, fino al punto da provocarne la
condanna alla morte di croce.
Gesù
inizia la sua attività pubblica in Galilea, dopo aver lasciato il villaggio di
Nazaret, dove ha trascorso gran parte della sua vita. Dai suoi compaesani è
conosciuto come l’artigiano e il “figlio di Maria”. Quando, dopo la prima
attività pubblica, rientra nel suo paese, la gente resta meravigliata della
saggezza delle sue parole e dei gesti straordinari che si raccontano di lui.
Essi infatti, conoscendone la famiglia e la formazione, non riescono a spiegarsi
il suo successo come maestro e guaritore itinerante.
Gesù
non ha frequentato corsi regolari presso qualche maestro di Sefforis o di
Tiberiade, le due cittadine più importanti della Galilea. Quando parla in
pubblico negli incontri della sinagoga non fa riferimento a nessun maestro
autorevole o conosciuto, come gli altri predicatori. D’altra parte, neppure
commenta i testi della Bibbia, come avveniva nelle scuole giudaiche. Gesù va a
incontrare Giovanni il Battista, che molti consideravano un profeta riformatore,
in quanto proponeva come segno di cambiamento in attesa del Messia
l’immersione nel fiume Giordano. Nei villaggi della Galilea che percorre in
lungo e in largo, proclama che il “regno di Dio” è arrivato e invita tutti
ad accoglierlo cambiando modo di pensare e di vivere.
A
conferma di questo annuncio, che segna una svolta nella storia dell’attesa
biblica, Gesù accoglie la gente semplice dei villaggi, guarisce le persone
malate e accetta di mangiare anche con quanti sono inadempienti o trasgressori
delle norme tradizionali. Sullo sfondo del suo annuncio del regno di Dio, che
irrompe nella storia umana con i suoi gesti e le sue prese di posizione, Gesù
rilegge la tradizione biblica dell’alleanza concentrando il contenuto delle
“dieci parole” - il “Decalogo” - nell’amore che abbraccia Dio e il
prossimo. Dio, creatore del mondo e Signore della storia, per Gesù ha il volto
di un Padre che si prende cura dei piccoli e benefica tutti i suoi figli, buoni
e cattivi. Gesù dilata la categoria del prossimo fino ad abbracciare il nemico
personale e sociale.
Per
giustificare le sue scelte e il suo stile di vita, Gesù fa riferimento
all’agire libero e gratuito del Padre. Egli parla di Dio e del suo modo di
agire per mezzo delle “parabole”, brevi racconti che utilizzano in modo
originale le immagini bibliche e le metafore popolari della semina e della
mietitura, del vino e dei banchetti, del pastore e del gregge. La gente dei
villaggi della Galilea accoglie con lieta sorpresa il modo di fare e
l’insegnamento di Gesù.
La
condanna a morte di Gesù
I
capi, responsabili delle comunità che gravitano attorno alle sinagoghe, vedono
con sospetto l’attività terapeutica di Gesù e il suo comportamento poco
rispettoso del sabato e delle norme di purità rituale. Essi sono preoccupati
del favore della gente. Gli abitanti dei villaggi della Galilea orientale,
impressionati dai gesti di guarigione compiuti da Gesù, lo ascoltano volentieri
anche quando mette sotto accusa il formalismo religioso degli osservanti. Tra i
magistrati, che hanno i loro rappresentanti nel consiglio supremo di Gerusalemme
- il Sinedrio - matura la convinzione che l’attività di Gesù sia pericolosa
perché tocca l’identità religiosa del popolo di Israele e mette a rischio il
difficile equilibrio con il sistema di potere controllato da Roma.
Da
qui la decisione di approfittare di un viaggio di Gesù a Gerusalemme in
occasione della festa di Pasqua per farlo arrestare e consegnarlo al
rappresentante dell’Impero, affinché gli sia comminata una condanna esemplare
che scoraggi i suoi sostenitori e i simpatizzanti. Gesù si rende conto del
complotto che lo minaccia e che trova qualche connivenza anche tra i suoi
discepoli. In occasione del pellegrinaggio di Pasqua a Gerusalemme, nel contesto
della cena con il gruppo dei discepoli, egli dà un nuovo significato alle
parole e ai gesti della mensa. Il gesto di spezzare e condividere il pane
durante il pasto è il dono supremo della sua persona che va incontro alla
morte. Allo stesso modo la coppa di vino, che si beve dopo il pasto, è il suo
sangue versato per fondare la comunità dell’alleanza definitiva con Dio
attesa dai profeti.
Alla
fine Gesù, davanti ai suoi discepoli, prende l’impegno di non bere più il
vino, segno di gioia e libertà, fino a quando non potrà bere il vino nuovo nel
regno di Dio. Con queste parole di speranza, che chiudono la sua ultima cena nel
clima della Pasqua ebraica di liberazione, Gesù si ricollega all’annuncio
fatto nei villaggi della Galilea. Con la sua morte egli vuole dare la garanzia
della fedeltà di Dio che realizza la sua sovranità a favore di tutti gli
esseri umani. La novità e l’originalità dei gesti e delle parole di Gesù
alla fine convergono nel dono che egli fa della sua vita per essere fedele a Dio
come “il Figlio”, restando solidale con tutti i suoi fratelli.
Ancora oggi il suo messaggio e il suo comportamento correggono le nostre immagini distorte di Dio, sovvertono le nostre manie superstiziose, riempiono i nostri legami di accoglienza e di amore.