Conferenza Episcopale Italiana
Lettera
I - LE DOMANDE CHE CI UNISCONO | II
- |
III - COME INCONTRARE IL DIO DI GESÙ CRISTO |
1. FELICITÀ E SOFFERENZA | 6. GESÙ | 11.
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2. AMORE E FALLIMENTI | 7. IL CRISTO | 12. L’ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO |
3. LAVORO E FESTA | 8. DIO PADRE, FIGLIO E SPIRITO | 13. I SACRAMENTI, LUOGO DELL’INCONTRO CON CRISTO |
4. GIUSTIZIA E PACE | 9.
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14. IL SERVIZIO |
5.
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10.
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15.
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7.
IL CRISTO
Secondo
la testimonianza dei Vangeli e di san Paolo nella prima lettera ai Corinzi
(5,7), la condanna di Gesù alla morte di croce è avvenuta in prossimità della
festa ebraica della Pasqua, in una primavera degli anni trenta dell’era
cristiana. A partire dalla morte di Gesù i suoi discepoli danno un nuovo
significato alla celebrazione pasquale: non più la festa in cui si rivive la
liberazione dei figli di Israele dall’Egitto, ma è la celebrazione della sua
vittoria sulla morte. Essi proclamano apertamente che Gesù di Nazaret,
condannato alla morte di croce dal prefetto romano Ponzio Pilato, è stato
risuscitato da Dio. Grazie a questo intervento potente dall’alto, essi
riconoscono apertamente che Gesù è il Cristo, colui che Dio ha
“consacrato” e scelto per liberare il suo popolo, il Signore di tutti gli
esseri umani.
Sul
piano storico la missione di Gesù è un fallimento, perché egli è messo a
morte dal rappresentante dell’imperatore di Roma, che occupa militarmente la
terra di Israele. Il motivo della condanna di Gesù, scritta nel titulus
della croce, dice: “Gesù Nazareno re dei Giudei”. Le autorità ebraiche
avvertono questa iscrizione, voluta da Pilato, come un insulto alla propria
identità di popolo libero consacrato a Dio, unico loro re. I fondatori del
movimento di resistenza antiromana, che sfocerà nella guerra del 66-70, si
rifiutavano di pagare le tasse agli occupanti romani, appunto perché
sostenevano di non avere altro re se non Dio solo. Per i discepoli la
crocifissione di Gesù è una prova terribile, uno scandalo di fronte a cui la
reazione naturale è la fuga.
L’incontro
col Risorto
I
discepoli superano lo scandalo della morte di Gesù in croce, riservata ai
ribelli e ai criminali, facendo appello all’iniziativa di Dio che lo ha
risuscitato dai morti. La fede nella risurrezione non è estranea al modo di
pensare degli ebrei suoi contemporanei. A contatto con la cultura persiana, a
partire dal tempo dell’esilio nel quinto secolo a.C., essi avevano elaborato
l’idea della risurrezione dei giusti, soprattutto dei martiri uccisi a causa
della loro fedeltà alla legge di Dio, collocandola nell’orizzonte della loro
fede tradizionale: Dio, che ha creato il mondo con la forza della sua parola,
farà risorgere dalla polvere della terra quelli che sono morti, reintegrandoli
nella loro condizione di viventi.
Nel
caso di Gesù, però, i suoi discepoli non dicono che Dio lo risusciterà alla
fine del mondo, come farà con i martiri e i giusti. Essi affermano che Dio lo
ha già risuscitato, perché egli si è fatto vedere e li ha incontrati come il
Signore che appartiene al mondo di Dio. Perciò concludono che Gesù non è solo
il Messia promesso da Dio per liberare Israele, ma è il Messia che da sempre è
in relazione con Dio. Gesù non è un altro Dio, concorrente con quello della
tradizione biblica, ma è il Figlio di Dio in piena comunione di amore con il
Padre.
Come
è avvenuto che i fuggiaschi del Venerdì Santo sono diventati i coraggiosi
testimoni del Risorto, pronti a dare la vita per lui? Che cosa è successo fra
l’ora dell’abbandono di Gesù sulla croce e l’inizio sorprendente dello
slancio missionario della Chiesa nascente? Secondo quanto riferiscono i racconti
delle apparizioni del Risorto, Gesù si è presentato ad alcune donne e uomini,
mostrandosi “a essi vivo, dopo la sua
passione” (Atti degli Apostoli 1,3). Questi incontri sono avvenuti in
luoghi e in tempi non facilmente armonizzabili tra loro. Una medesima sequenza,
tuttavia, emerge in tutti i racconti, consentendoci di riconoscere i caratteri
propri dell’incontro con il Signore risorto.
L’iniziativa
è sempre del Risorto: è lui che appare. Al principio della fede cristiana non
c’è l’emotività di un’ora estrema, ma l’azione di Dio che si offre
all’uomo. La fede nasce dall’annuncio; essa ci è donata dal di fuori,
attraverso l’ascolto della Parola che salva, in cui ci raggiunge il Verbo
della vita. L’incontro col Risorto non è qualcosa che diviene
nell’intimo dei discepoli, ma qualcosa che avviene
a loro.
In
tutti i racconti delle apparizioni è poi presente un processo di riconoscimento
da parte dei discepoli, che li porta dal dubbio iniziale alla confessione
gioiosa: “È il Signore!”. L’incontro con il Cristo che cambia la vita si
compie attraverso una maturazione che rispetta la libertà dell’assenso e
comprende il rischio del combattimento e la resa della fede.
Infine,
dall’incontro col Signore vivente nasce la missione: le persone cui il
Risorto si mostra non sono più le stesse dopo l’incontro con lui. La loro
vita è cambiata: sono ormai i testimoni, coraggiosi e fedeli, del Cristo Gesù,
gli innamorati apostoli della buona notizia. L’incontro è un’esperienza
trasformante, che inaugura una vita nuova, piena di coinvolgimento e di
passione.
Questa
esperienza dei primi discepoli, che sfocia nel riconoscimento e nella
proclamazione coraggiosa che Gesù è il Cristo, il Signore, suscita tensioni e
alla fine provoca la rottura con la tradizione e la comunità ebraica. Paolo di
Tarso, un ebreo persecutore dei cristiani nell’area siro-palestinese degli
anni trenta, grazie all’iniziativa di Dio scopre che Gesù crocifisso è il
suo Figlio. Attraverso questa esperienza di incontro con Gesù Cristo risorto
Paolo si sente chiamato a portare il Vangelo a tutti, senza distinzione fra
ebrei e greci, invitando ognuno a una scelta decisiva. È una scelta che ci
riguarda tutti, anche oggi, perché la qualità della nostra vita si costruisce
scegliendo tra una modalità egoistica di condurre l’esistenza e il dono
totale di sé nell’amore verso Dio e verso gli altri, che spinge a tessere
rapporti di solidarietà con i più deboli nell’orizzonte del Regno di Dio.
La
risurrezione illumina le origini di Gesù
Nella
sua attività pubblica Gesù è conosciuto come originario e abitante di
Nazaret, dove vive la sua famiglia. Nazaret è un villaggio della Galilea
collinare, nel settentrione della terra d’Israele. Qui Gesù passa quasi
trent’anni, continuando il lavoro di artigiano di Giuseppe, che a Nazaret
tutti conoscono come suo padre. Quando rientra nel suo paese, dopo la prima
attività nella cittadina di Cafarnao sulla riva del lago di Galilea, la gente
lo riconosce come “il figlio di Maria”. In effetti, Giuseppe compare solo
nel racconto della nascita e nell’unico episodio di Gesù adolescente che, a
dodici anni, sale a Gerusalemme per la festa di Pasqua.
Il
racconto delle origini di Gesù è riportato nei Vangeli di Matteo e di Luca,
che riferiscono della sua nascita a Betlemme da Maria, sposa di Giuseppe. Gesù
nasce al tempo del re Erode, cioè prima del
La
comunità dei discepoli
Fin
dall’inizio della sua attività pubblica nella zona del lago di Galilea Gesù
chiama alcune persone a condividere il suo progetto e il suo stile di vita. A
questo nucleo originario di discepoli si aggiungono altri, uomini e donne, che
lo seguono nei suoi spostamenti da un villaggio all’altro e lo accompagnano
nei viaggi a Gerusalemme in occasione delle grandi feste. Tra i discepoli Gesù
sceglie un gruppo di “dodici”, che rappresentano i figli di Giacobbe,
capostipiti delle dodici tribù di Israele. I “dodici” discepoli sono
chiamati “apostoli”, cioè “inviati”, perché condividono e prolungano
la missione di Gesù. Nella tradizione dei Vangeli i dodici discepoli sono il
prototipo della comunità cristiana, che sarà chiamata “chiesa” dopo
Ai
discepoli Gesù dà uno statuto e traccia per essi un programma di vita. Nello
stile dei profeti, egli proclama “beati”, fortunati e felici, i poveri e i
derelitti, perché Dio, re giusto e fedele, interviene a loro favore. Egli
invita i discepoli a condividere il suo destino, anche a costo di perdere la
vita e i beni, per partecipare alla vita piena e definitiva promessa da Dio a
quanti compiono la sua volontà.
In
contrasto con il modo di pensare del suo ambiente, Gesù propone una nuova
maniera di vivere la relazione di coppia. L’unione dell’uomo e della donna
per formare un solo essere vivente corrisponde al progetto originario di Dio
creatore. Anche i ruoli all’interno della comunità dei discepoli sono
rovesciati rispetto al modo di pensare comune. Chi è più grande e il primo,
diventa il servo di tutti e l’ultimo. Gesù nella comunità dei suoi discepoli
si presenta come colui che serve fino al dono della sua vita.
Nelle
“beatitudini” che aprono il discorso sul monte, Gesù inaugura il cammino
dei discepoli e traccia il loro programma di vita:
“Vedendo
le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi
discepoli. Si mise allora a parlare e insegnava loro dicendo:
Beati
i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati
voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta
di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è
la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima
di voi” (Matteo 5,1-12).