Conferenza Episcopale Italiana
Lettera
I - LE DOMANDE CHE CI UNISCONO | II - |
III - COME INCONTRARE IL DIO DI GESÙ CRISTO |
1. FELICITÀ E SOFFERENZA | 6. GESÙ | 11.
|
2. AMORE E FALLIMENTI | 7. IL CRISTO | 12. L’ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO |
3. LAVORO E FESTA | 8. DIO PADRE, FIGLIO E SPIRITO | 13. I SACRAMENTI, LUOGO DELL’INCONTRO CON CRISTO |
4. GIUSTIZIA E PACE | 9.
|
14. IL SERVIZIO |
5.
|
10.
|
15.
|
14.
IL SERVIZIO
Una
delle vie per vivere la memoria di Gesù e sentirsi membra del suo corpo, che è
Tanti
modi per servire
Sono
tanti i modi e le vie che i cristiani hanno oggi per realizzare la memoria di
Gesù attraverso il servizio al prossimo.
Il
servizio nei confronti dei fratelli si è dall’inizio concretizzato in un
compito molto importante: la cura del corpo di Cristo, che è
Altri
servizi sono affidati ai cristiani: tutti sono chiamati a farsi servi per amore,
mettendo a disposizione degli altri con gratuità quanto hanno gratuitamente
ricevuto da Dio. È la fantasia dello Spirito ad aiutarci a dare concretezza al
comandamento dell’amore che Gesù ci ha lasciato come segno distintivo della
nostra identità di suoi discepoli. Come insegna un’antica preghiera, “Cristo
non ha mani, ha soltanto le nostre mani per fare il suo lavoro oggi. Cristo non
ha piedi, ha soltanto i nostri piedi per guidare gli uomini a sé. Cristo non ha
labbra, ha soltanto le nostre labbra per parlare agli uomini oggi. Noi siamo
l’unica Bibbia, che tutti i popoli leggano ancora. Noi siamo l’ultimo
appello di Dio scritto in parole ed opere”.
Il
nostro vivere quotidiano come servizio offerto a Dio
L’apostolo
Paolo si spinge ancora più lontano, nello sviluppo di questa “logica del
servizio”: partecipando nella fede all’opera di annuncio e diffusione
dell’amore di Dio per gli uomini, noi siamo in grado di trasformare tutta la
nostra vita in un “sacrificio vivente”, in un grande gesto continuo di
preghiera e di ringraziamento a Dio (cf. Romani 12,1). Il nostro lavoro,
l’amore e gli affetti che danno calore e senso alla vita, i molti impegni che
riempiono l’esistenza quotidiana possono essere trasfigurati, e assumere così
un significato nuovo, se vissuti come luogo in cui rendere visibile l’amore,
con cui siamo amati da Dio.
In
un mondo in cui le logiche che legano gli uomini tra loro conoscono spesso il
dramma del peccato e della distorsione, divenendo alienanti e disumane, servire
Dio e gli altri risulta per molti aspetti faticoso: è questa fatica, tuttavia,
che è stata fatta propria dal Figlio di Dio incarnato, che ha donato così
nuova dignità alle opere e ai giorni degli uomini. In comunione con colui che
ha lavorato con mani d’uomo e ha amato con cuore d’uomo, il cristiano
riconosce nella fatica quotidiana lo strumento con il quale intervenire sulla
trasformazione della realtà per conformarla al progetto di Dio, in costante
relazione e dialogo con l’intera famiglia umana.
Nell’attesa
dei cieli nuovi e della terra nuova, il cristiano sa di servire la causa di Dio
nella causa dell’uomo. Umanizzare il mondo è servire il Signore, che vi è
entrato e vi opera in vista della finale “ricapitolazione” di tutte le cose
in Dio. Offerta a Dio nella fatica dei giorni, la nostra vita può divenire la
via di una comunione sempre più profonda con il Cristo, redentore dell’uomo.
Collaboratori
della gioia di tutti
Chiamato
a servire, nell’impegno di ogni giorno, nella specificità dei servizi
d’amore cui Dio lo chiama, il cristiano non deve mai perdersi d’animo, né
cedere alla tentazione della disperazione e dello scetticismo. Il segreto che
gli permette di mantenere intatta la sua capacità di leggere giorno dopo giorno
i segni della salvezza di Dio, che è all’opera, sta nell’incontro fedele e
perseverante con Cristo, sorgente di vera gioia.
Questa
gioia dell’incontro col Signore accompagna la vita del cristiano: anche nella
prova e nella persecuzione i discepoli restano “pieni di gioia e di Spirito Santo” (Atti 13,52). La gioia è un
frutto dello Spirito, conseguenza del dimorare in Dio nella preghiera e nella
celebrazione del suo amore per noi, sperimentato nella fede e nella speranza:
“Siate sempre lieti, pregate
ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa è infatti la volontà di
Dio in Cristo Gesù verso di voi” (1Tessalonicesi 5,16-18). La gioia si
coniuga così alla carità, vissuta nel portare con Cristo il peso della
sofferenza propria e altrui. Servire è farsi collaboratori della gioia di
tutti: “Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i
collaboratori della vostra gioia” (2Corinzi 1,24).
Lo
spirito delle beatitudini è la caratteristica inconfondibile della vita
cristiana: in chi lo vive è Cristo che vive, perché è Gesù il povero, il
sofferente, il mite, il puro di cuore, l’affamato di giustizia e l’operatore
di pace, e nessun altri al di fuori di lui è in grado di trasformare nella
gioia e nella pace dell’amore il dolore, che devasta la terra. Le beatitudini
sono al tempo stesso l’annuncio e il dono della vita nuova che i cristiani
portano nel mondo, il criterio e la misura della loro credibilità, la promessa
delle meraviglie che la sequela di Gesù opera nella nostra debolezza, secondo
una logica che la fede comprende, ma che appare perfino sconvolgente agli occhi
del mondo. Ecco come le riporta l’evangelista Luca:
“Beati
voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete, perché riderete.
Beati
voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e
v’insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio
dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra
ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri
con i profeti” (6,20-24).
Lo
stile proprio del servizio è il dialogo, quel linguaggio dell’amore, in cui
l’amore stesso si manifesta come attenzione e disponibilità agli altri. La
fatica di amare si riflette perciò inevitabilmente nelle resistenze e nei
rischi propri del dialogo. Come la gratuità dell’amore viene inaridita dalla
possessività, così il dialogo non esiste realmente lì dove non sia suscitato
da un’iniziativa gratuita, libera dal calcolo. Nulla si oppone di più
all’autenticità del dialogo che la strategia o il tatticismo: dove il dialogo
è strumento per dominare l’altro o per usarlo ai propri fini, lì cessa di
esistere. Il dialogo ha la dignità del fine e non del mezzo: esso vive di
gratuità e si propone come un’offerta di incontro che sgorga dalla gioia di
amare.
Per
dialogare veramente è, poi, necessario unire alla gratuità l’accoglienza
dell’altro: il dialogo non si sviluppa lì dove la dignità dell’altro non
è rispettata e accolta. Il dialogo ha bisogno dello scambio, in cui il dare e
il ricevere sono misurati dalla gratuità e dall’accoglienza di ciascuno dei
due. La massificazione - che ignora l’originalità dell’altro - esclude ogni
dialogo, e quindi ogni autentico atteggiamento di servizio.
Chi
pensa di non aver bisogno degli altri resterà nella solitudine di una vita
senza amore. Chi si mette alla scuola dell’altro e si fa servo per amore,
offrendo se stesso in dono, costruisce legami di pace e fa crescere intorno a sé
la comunione. Anche nel Dio tre volte santo il Padre è eterna gratuità e il
Figlio eterna accoglienza: l’eterno Amato davanti all’eterno Amante ci
insegna come anche il ricevere sia divino! Veramente la gratitudine di chi si
lascia amare è essenziale all’amore, almeno quanto la gratuità che ne è la
sorgente.
Il
dialogo, infine, è autentico quando si presenta come un’esperienza liberante,
aperta agli altri, inclusiva e mai esclusiva dei loro bisogni e delle loro
inquietudini. L’incontro dei due deve rendere possibili altri incontri: esso
proietta fuori del cerchio dello stare a guardarsi negli occhi, verso il vasto
mondo della solidarietà.
Solo
così nell’esperienza del dialogo l’accoglienza e il dono di sé all’altro
non si oppongono fra di loro, ma sono in certo modo l’uno la forza e
l’autenticità dell’altro: ciò che è donato e ricevuto nel dialogo fra i
due, esige di essere ancora offerto in sempre nuovi itinerari di amore e di
servizio. Dialogando, si sprigionano le energie nascoste dell’amore, e
l’esistenza, lungi dal chiudersi in se stessa, si proietta fuori di sé,
facendosi servizio e dono. Quest’apertura all’esterno non solo non mortifica
la comunione di coloro che dialogano, ma la rende vera e gioiosa.
Oltre
la fatica di amare
La
fatica del servizio è la fatica stessa di amare: essa deve vincere la
possessività, la chiusura egoistica e l’egoismo al plurale, che fa dei due
un’isola. Perciò, la scuola del servizio è la scuola dell’amore: si
comprende, allora, come si possa vivere un’esistenza piena servendo gli altri
e dialogando con loro, solo se si riconosce di essere stati interpellati e amati
per primi da un Altro. Come scrive sant’Agostino, “non
c’è maggior invito ad amare, che prevenire nell’amore” (De catechizandis rudibus 4): così Dio ci ha insegnato ad amare!
La
rivelazione del mistero trinitario di Dio, culminante nell’offerta della
Croce, in cui il Figlio abbandonato ci “amò sino alla fine” (Giovanni
13,1), è per la fede dei cristiani il luogo dove è possibile accorgersi di
essere stati amati per primi, avvolti nel dialogo della carità divina. La fede
nel Dio amore si offre come il fondamento più sicuro di uno stile di vita
plasmato dal servizio.
Dialogando
con Dio e in Dio Trinità d’amore si risponde al primo Amore, nello Spirito
che ci è stato donato, sull’esempio e in unione con Gesù. Dialogando con gli
altri si testimonia loro di aver creduto all’amore: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli
uni per gli altri” (Giovanni 13,35). Con il dialogo dell’amore, vissuto
con Dio e al proprio interno, la comunità cristiana - in particolare quella
familiare - diventa icona della Trinità, riflesso nel tempo del dialogo eterno
d’amore delle tre persone divine.
Senza
dialogo di adorazione e di intercessione con il Dio vivo e di sollecitudine e di
amicizia verso la comunità degli uomini,
“Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi… Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità. Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Giovanni 17,11.17-21).