Conferenza Episcopale Italiana
Lettera
I - LE DOMANDE CHE CI UNISCONO | II - |
III - COME INCONTRARE IL DIO DI GESÙ CRISTO |
1. FELICITÀ E SOFFERENZA | 6. GESÙ | 11.
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2. AMORE E FALLIMENTI | 7. IL CRISTO | 12. L’ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO |
3. LAVORO E FESTA | 8. DIO PADRE, FIGLIO E SPIRITO | 13. I SACRAMENTI, LUOGO DELL’INCONTRO CON CRISTO |
4. GIUSTIZIA E PACE | 9.
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14. IL SERVIZIO |
5.
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10.
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15.
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15.
La
morte è di casa nell’esistenza quotidiana. Bussa continuamente alla porta
della vita. Dobbiamo tutti fare i conti con essa e con i suoi segni inquietanti.
Oggi forse essa è presente ancora più abbondantemente di un tempo nella nostra
vita, grazie alle comunicazioni e ai mezzi di informazione del villaggio
globale. L’abbiamo però ridotta a spettacolo o a fatto privato, cercando di
interpretarla perfino come segno di una debolezza che, presto o tardi, ci
auguriamo di riuscire a eliminare o almeno ridurre.
Soprattutto
abbiamo esorcizzato il suo pensiero. Della morte non si deve parlare. Chi lo fa,
rompe una convenzione. Quasi ci convinciamo che parlare della morte porti male:
meglio tacere, lasciar perdere o, al massimo, prenderne le distanze. Le
informazioni relative a fatti di morte vanno dosate con notizie leggere e poco
impegnative.
L’esperienza
cristiana più autentica, però, ci chiede di essere attenti alla morte, per
essere signori della nostra vita, secondo l’orizzonte globale che la fede ci
offre. Solo dalla parte della morte possiamo, infatti, comprendere la nostra
vita: quella che costruiamo a fatica nell’oggi e quella che si spalanca sulla
nostra esistenza, come dono imprevedibile di un amore che vince anche la morte e
ci immerge in una pienezza di vita al di là della vita.
La
speranza ultima e quella penultima
La
speranza è la “buona notizia” che il Vangelo ci consegna. Lo ha ricordato
Papa Benedetto XVI nell’Enciclica Spe
salvi: “Il Vangelo non è soltanto
una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che
produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata
spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita
nuova” (n. 2).
La
prospettiva che illumina la vita, anche nel duro confronto con la morte, è
appunto la speranza dischiusa dalla resurrezione di Cristo. Non si tratta
soltanto di un’aspettativa che nasce quando siamo costretti a misurarci con un
limite che sembra invalicabile o quando avvertiamo la necessità di spalancare
il presente verso orizzonti più rassicuranti. Nell’esperienza cristiana, la
speranza è una dimensione irrinunciabile, fondata nell’incontro stesso col
Signore Gesù: è lui risorto da morte a illuminare il presente e ad aprire il
nostro sguardo verso un futuro affidabile e bello.
L’atto
del morire, letto con gli occhi della speranza dell’incontro con Gesù
risorto, si schiude a orizzonti che vanno oltre il limite della morte stessa:
come il Cristo è passato dalla morte alla vita, così la morte, che egli ha
fatto sua, viene rivelata come passaggio a una nuova condizione di esistenza,
cammino pasquale verso il futuro aperto da lui, vincitore della morte. Il Nuovo
Testamento concepisce questa vita, inaugurata con la morte, come un “essere
con Cristo”, che suggellerà la sequela di lui vissuta in vita per vie
misteriose, non evidenti agli occhi degli uomini.
La
fede cristiana riconosce nella Pasqua l’atto col quale il Dio della vita ha
vinto il potere della morte: “Cristo, risorto dai morti, non muore più; la
morte non ha più potere su di lui” (Romani 6,9). Sarà il Cristo a introdurci
nella vita senza tramonto: il suo sguardo renderà la persona trasparente a se
stessa, facendole assumere piena coscienza del modo in cui essa si è situata
nella storia dell’amore. Il Cristo giudice non è, dunque, l’arbitro
dispotico e accecato dall’ira di alcune rappresentazioni infelici, ma il volto
della misericordia di Dio, che trapassa la coscienza personale e le dà il
coraggio della verità su se stessa. Nell’incontro col Crocifisso risorto
ritroviamo così l’esperienza più autentica della vita, il suo vero sigillo.
Il
destino finale
Viene
spontaneo chiederci che cosa capiterà a ciascuno di noi dopo la morte. Essa
conclude l’avventura della vita o spalanca a trasformazioni del nostro
esistere, imprevedibili con gli strumenti della nostra capacità riflessiva? I
cristiani, quando si interrogano sull’esito della vita dopo la morte, si
riferiscono a tre possibilità diverse: l’inferno, il paradiso, il purgatorio.
Oggi ci sembra strano utilizzare queste espressioni, che suonano superate.
Eppure dobbiamo riscoprirle nel loro significato autentico, per riempire di
speranza e di responsabilità la nostra esistenza.
Il
destino finale dell’uomo e della storia coincide con la carità infinita che
ne è l’origine: Dio “vuole che tutti
gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità”
(1Timoteo 2,4). “Io sono infatti
persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né
avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura
potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro
Signore” (Romani 8,38-39). Ne consegue che l’inferno ci sarà solo per
chi avrà voluto, in modo libero e consapevole, edificare la sua vita lontano da
Dio.
L’inferno
è la tristezza di non poter più amare, è il rimpianto infinito di non poter
più vivere la gratitudine, senza la quale lo stesso dono è perduto. La
possibilità dell’inferno è la stessa della nostra libertà: un Dio che ci
ama e rispetta la nostra libertà non può salvarci senza una qualche
partecipazione della nostra volontà. Diversamente, il suo amore sarebbe
un’imposizione e un inganno!
Nella prospettiva della passione e morte di Gesù si trova una luce anche sul purgatorio: esso è la possibilità di una purificazione nella morte e oltre la morte, che ci consente di completare in noi ciò che manca alla piena assimilazione a Cristo e alla vita divina che lui ci ha offerto. Pregare per i defunti vuol dire aiutarli in questo cammino che l’amore del Dio di misericordia offre a chi non gli ha chiuso del tutto il cuore in vita, ma non è ancora stato reso perfetto per entrare nella bellezza dell’amore infinito della Trinità.
Il
paradiso è dunque un’immagine per dire il compimento della nostra esistenza
come relazione piena con Dio e con tutte le persone che abbiamo amato e che ci
hanno amato. Sant’Agostino lo esprime in questo modo: “Là nessuno ci sarà nemico, là non perderemo mai nessun amico”
(Discorso 256). Davvero l’annuncio
cristiano del paradiso è bella notizia: ci aiuta a vivere con speranza e
responsabilità la nostra vita, perché non siamo esseri viventi il cui
orizzonte è la morte, ma esseri mortali il cui orizzonte è la vita. L’ultima
parola non sarà della morte, ma della vita: il Dio della vita alla fine
trionferà e introdurrà i redenti nello splendore della sua gloria senza fine.
Per
l’approfondimento dei contenuti della Lettera: -
Catechismo della Chiesa Cattolica
(1997).
Inoltre,
fra i libri di introduzione alla
fede: J.
Ratzinger, Introduzione al
cristianesimo. Lezioni sul Simbolo apostolico (1968 -2005). |