Conferenza Episcopale Italiana
Lettera
I - LE DOMANDE CHE CI UNISCONO | II - |
III - COME INCONTRARE IL DIO DI GESÙ CRISTO |
1. FELICITÀ E SOFFERENZA | 6. GESÙ | 11.
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2. AMORE E FALLIMENTI | 7. IL CRISTO | 12. L’ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO |
3. LAVORO E FESTA | 8. DIO PADRE, FIGLIO E SPIRITO | 13. I SACRAMENTI, LUOGO DELL’INCONTRO CON CRISTO |
4. GIUSTIZIA E PACE | 9.
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14. IL SERVIZIO |
5.
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10.
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15.
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3.
LAVORO E FESTA
Il
lavoro è un diritto e una responsabilità. Nel lavoro entrano in gioco la
nostra dignità di persone, il senso e la qualità della nostra vita,
l’esercizio quotidiano della nostra relazione con gli altri. Ne siamo convinti
e non abbiamo bisogno che qualcuno ce lo ricordi. Guardiamo con senso di
preoccupazione e di rimprovero le persone che hanno poca voglia di lavorare.
Percepiamo la difficoltà e perfino il dramma di chi non riesce a trovare
lavoro. La negazione del diritto al lavoro, di cui soffrono ancora tante donne e
uomini di questo tempo, specialmente fra i giovani, non può lasciarci
indifferenti.
Come
discepoli di Gesù, il Figlio di Dio che “ha lavorato con mani d’uomo, ha
pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore
d’uomo” (Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo Gaudium et spes, 22),
riconosciamo al lavoro una grande dignità, un significato profondo. Vogliamo
perciò interrogarci insieme sul suo significato, per comprendere meglio questa
dimensione importante della nostra esistenza e le attese che essa porta con sé.
Perché il lavoro?
Per
il lavoro impegniamo la maggior parte della nostra esistenza. Se perdiamo il
senso del lavoro, perdiamo il senso stesso della nostra vita. Veniamo da
esperienze e da modelli di tessuto sociale in cui il lavoro era gravato da
condizioni disumane: dannoso alla salute, carico di pericoli, segnato da orari
insopportabili, pagato in nero. Oggi, certamente, molte cose sono cambiate,
anche se non sempre e non per tutti.
Affiorano
però problemi nuovi, connessi alla globalizzazione, alla delocalizzazione, alla
concorrenza, alle difficoltà delle imprese, alle ricorrenti crisi economiche.
È cresciuto il livello medio della ricchezza, ma nel contempo si sono allargate
le aree della povertà e dell’emarginazione. La forte innovazione tecnologica
ha spesso determinato nel lavoratore insicurezza sul suo posto di lavoro e
incertezza sul destino della sua professionalità. Ne deriva una sete di
giustizia e di dignità, sempre più diffusa ed esigente.
In
quali condizioni lavorare, per non diventare schiavi del lavoro e perché in
esso si esprima la nostra dignità di persone? Ce lo chiediamo con l’ansia di
chi non si accontenta di parole e riconosce di affrontare questioni vitali,
personali e sociali. Non viviamo per lavorare, ma lavoriamo per vivere. Non
lavoriamo per fare soldi - o almeno non dovremmo farlo solo per questo -,
lavoriamo per vivere dignitosamente. Non lavoriamo solo per noi, ma per far
vivere coloro che non sono ancora in grado di lavorare, i bambini, e coloro che
non possono più lavorare, gli anziani. Il lavoro deve servire a realizzare la
nostra dignità di persone. Non è una merce che si compra e si vende, ma
un’attività umana libera e responsabile.
La
crescita in consapevolezza e in responsabilità ci ha aiutato a scoprire
un’altra ragione del nostro lavoro: lavoriamo per il benessere della
collettività e dell’umanità in generale. In tal senso, il lavoro è un
obbligo morale verso il prossimo: in primo luogo verso la famiglia, poi verso la
società a cui si appartiene, la nazione di cui si è cittadini, l’intera
famiglia umana. Noi siamo eredi del lavoro delle generazioni che ci hanno
preceduto e insieme costruttori del futuro di coloro che vivranno dopo di noi.
Quanti
riconoscono orizzonti più alti di quelli che costruiamo con le nostre mani e
collocano, in qualche modo, il riferimento a Dio creatore nella loro esperienza
quotidiana, individuano un’ulteriore ragione del lavoro umano. A noi pare
importante e offre un respiro di speranza alla nostra fatica, anche se ci
rendiamo conto di quanto questa visione possa essere esigente: mediante il
lavoro l’uomo collabora con Dio nel portare a termine la creazione.
Lo
riferisce una delle prime pagine della Bibbia. Dopo aver creato il mondo, Dio
comanda all’uomo e alla donna: “Riempite
la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del
cielo…” (Genesi 1,28). Soggiogare la terra vuol dire prendere possesso
dell’ambiente e governarlo, rispettando l’ordine posto in esso dal Creatore
e sviluppandolo a proprio vantaggio, per soddisfare i bisogni propri, della
famiglia e della società. In questo consiste l’impresa della scienza e del
lavoro per umanizzare il mondo, al fine di farne la dimora dell’uomo, una casa
di giustizia, di libertà e di pace per tutti.
Quando
Dio ha creato il mondo, non lo ha creato compiuto: la creazione non è finita.
L’uomo ha preso possesso lentamente della terra, forgiandola, adattandola alle
sue esigenze, sviluppando le potenzialità del creato per il suo bene e per la
gloria di Dio. In modo particolare oggi stiamo assistendo a trasformazioni
impensabili fino a pochi decenni fa. Esse ci fanno vedere come l’uomo abbia
capacità sconfinate, di cui sono strumento le nuove tecnologie.
Non
siamo però padroni del creato. Dobbiamo collaborare con Dio nel portarlo a
compimento, rispettando la natura e le leggi insite in essa. Dio ci ha affidato
il creato, perché potessimo custodirlo e perfezionarlo, non per sfruttarlo e
manipolarlo a nostro piacimento. Ce lo ricorda ancora il libro della Genesi: “Il
Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse
e lo custodisse” (2,15). Il lavoro - vissuto in condizioni rispettose
della giustizia e della dignità umana, oltre che dell’ambiente affidatoci dal
Creatore - è la via in cui l’uomo realizza questo compito.
Problemi
e sfide
Nel
mondo del lavoro, però, non mancano le contraddizioni e i problemi: “Va bene
lavorare - osserva qualcuno - ma con questi ritmi e con questa tensione non c’è
più tempo né per me, né per la mia famiglia”. Molti giovani sono costretti
a constatare: “Dicono che ogni uomo ha diritto a un lavoro, ma da tempo non
riesco a trovare un’occupazione che mi dia garanzie”. Non è facile trovare
le parole adeguate per confrontarsi con queste sfide. Del resto, le parole da
sole non bastano. Ci vogliono fatti. Quali? Come possiamo produrre fatti nuovi
in un contesto sociale quale è quello che spesso sperimentiamo, dove valgono
regole e dominano logiche, che tante volte calpestano la dignità della persona
umana e il suo diritto al lavoro?
Non
è difficile constatare come, purtroppo, la cultura occidentale abbia messo alla
base dell’idea del lavoro una prospettiva economicistica e materialistica, che
finisce con il riservare il primato al denaro. Questo è uno dei più gravi
errori del nostro tempo, da cui deriva un principio perverso nella vita sociale:
avere sempre di più, secondo la logica per cui la ricchezza deve produrre nuova
ricchezza e bisogna perciò tendere sempre al massimo profitto. Una delle
conseguenze più tragiche è sotto gli occhi di tutti: uno sviluppo squilibrato,
che crea diverse velocità di crescita, per cui i popoli ricchi diventano sempre
più ricchi e i popoli poveri sempre più poveri. Questa disparità va
accentuandosi anche tra le componenti di una stessa comunità.
Non
tutto, però, è così. A uno sguardo attento si offrono certamente non poche
realizzazioni positive, che rassicurano il nostro impegno e alimentano la nostra
speranza. Possiamo dirlo con consapevolezza proprio guardando al nostro popolo,
ricco di tante persone impegnate e coraggiose, che hanno saputo trasformare le
terre più aride e rendere i contesti di produzione più difficili luoghi di
umanità benestante, promuovendo la qualità della vita di tutti.
Tanto però resta ancora da realizzare. Siamo consapevoli che molto di quello che c’è da fare riguarda la direzione e il senso del nostro impegno, la qualità del nostro lavoro e dell’ambiente in cui esso si svolge, la sicurezza che prevenga ogni possibile danno ai lavoratori. Abbiamo tutti domande inquietanti e possediamo frammenti di risposte concrete. Condividendo le une e le altre, possiamo progettare un futuro forse più felice del presente, da condividere come protagonisti.
La
dignità di chi lavora e la festa
Tra
domande e risposte che toccano il lavoro e la nostra responsabilità verso gli
altri e verso il creato, trova collocazione un’esigenza che è ormai
patrimonio di quasi tutta l’umanità, almeno sul piano teorico. La tradizione
cristiana la sottolinea con forza: è l’esigenza del riposo e della festa.
Sì,
c’è un modo concreto per esprimere la dignità di chi lavora: sospendere
l’attività lavorativa con il riposo settimanale, a somiglianza di Dio che,
dopo avere creato il mondo, si riposò. L’uomo partecipa al lavoro e al riposo
di Dio: entrambi sono per lui una benedizione e un dono, fecondi di vita e
necessari per affermare la dignità della persona umana.
Il
riposo settimanale non ha solo lo scopo di far recuperare le forze fisiche, al
fine di lavorare di più e meglio nei giorni seguenti: questo sarebbe il riposo
dello schiavo. Riposare e celebrare la festa sono espressione della “libertà” dell’essere umano,
esperienza di comunione in famiglia e di incontro fraterno nella comunità,
possibilità di ravvivare la relazione con la natura. Per i cristiani il riposo
e la festa domenicali sono in modo particolare partecipazione alla vita del
Signore Risorto, anticipazione e pregustazione della vita futura nella comunità
radunata nel suo nome. Partecipando all’Eucaristia domenicale i cristiani sono
chiamati a liberarsi dall’idolatria del denaro, del possesso, del lavoro
ossessivo e a crescere nella sobrietà e nella solidarietà con i più deboli.
Certo, è più facile dirlo che farlo. La realtà sociale e la trama intricata in cui essa si svolge, esige da tanti uomini e donne una disponibilità che non consente giorni vuoti o tempi rigidi. La festa e il riposo restano per molti un’aspirazione, troppo lontana per essere sperimentata. Ma non è giusto rassegnarsi e non ci aiuta a crescere in umanità constatare le esigenze, senza venirvi incontro e immaginare alternative. Dobbiamo cercarle insieme, mettendo a frutto fantasia, amore, competenza e responsabilità. In questa ricerca tutti siamo chiamati a collaborare, perché la posta in gioco riguarda tutti. E lo sguardo della fede ci è di grande aiuto.